Entra in contatto con noi
Pubblicità
Post AD
Pubblicità
Post AD

Cronaca

Mani della mafia sul ristorante Liberamensa di Torino, 4 arresti

Pubblicato

il

PIEMONTE- Al tribunale di Torino si andava a prendere il caffè nel bar interno, ignari che quel locale era controllato dalla mafia. 4 gli arrestati. In manette anche un vecchio boss, da anni vicino al clan dei Belfiore, che nel 1983 fecero uccidere l’allora procuratore capo Bruno Caccia

Foto di repertorio

Quando nel 2016 ci fu il taglio del nastro, era stata indicata come un fulgido esempio di reimpiego dei carcerati. Una struttura che si affacciava alla ristorazione, piegata dalla pandemia del Covid solo 4 anni dopo, quando era dovuta ricorrere alla liquidazione.

Fasi di routine al cospetto degli avvenimenti della società, che di certo non contemplavano la mano lunga della mafia, che invece la controllava depauperandola di ogni introito.

Dietro al crollo della cooperativa sociale Liberamensa di Torino, che si era anche aggiudicata l’appalto comunale per la gestione del ristorante all’interno del carcere Lorusso e Cutugno, con un bar addirittura all’interno di palazzo di giustizia in via Postumia, spunta infatti un’operazione dei carabinieri del nucleo investigativo di Torino, coordinati dalla DDA del capoluogo, che questa mattina, tra Trofarello, Torino, Albenga e Laigueglia, hanno stretto le manette attorno ai polsi di 4 persone, accusate a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, usura, trasferimento di beni e organizzazione del gioco d’azzardo.

Secondo le indagini, il dominus del quartetto sarebbe Rocco Pronestì, all’anagrafe 72enne, una vecchia conoscenza sfuggita per decenni dall’accusa di affiliazione alla mafia. Il vecchio boss da anni è indicato come appartenente alla criminalità organizzata del Piemonte e soprattutto vicino al clan dei Belfiore, che nel 1983 fecero uccidere l’allora procuratore capo di Torino, Bruno Caccia. Domenico Belfiore, già condannato all’ergastolo per essere stato il mandante di quel delitto eccellente, era vicinissimo a Pronestì all’epoca in cui la malavita calabrese era impegnata a scacciare dal capoluogo piemontese il clan dei catanesi che in quegli anni si dividevano la fetta maggiore dell’attività criminale.

Insieme a Pronestì, in carcere è finito Rocco Cambrea, di 62 anni, che deve rispondere dei delitti di usura ed estorsione, con aggravante mafiosa e di avere organizzato una bisca clandestina in quello stesso bar di via Postumia, nel quale si occupava di gioco d’azzardo già a metà degli anni 90, prima di essere condannato nel cosiddetto procedimento denominato “Cartagine”.

Secondo l’ipotesi d’accusa, Pronestì e Cambrea da anni avrebbero praticato un’attività di usura ed estorsione nei confronti di diversi giocatori d’azzardo e piccoli imprenditori, spalleggiati dagli altri due arrestati, Saverio Giorgitto, 54enne e Crescenzo D’Alterio, 48enne. In particolare con quest’ultimo, Pronestì e Cambrea avrebbero organizzato un proficuo giro, inserendosi in attività economiche lecite, specie nel settore del commercio di alimenti, utilizzando una serie di prestanome e le competenze di alcuni professionisti, tutti finiti nel registro degli indagati.

Alcune delle vittime, interrogate, hanno addirittura negato pressioni e minacce, nonostante le numerose intercettazioni telefoniche tra loro e l’organizzazione.

Sono stati proprio i contatti con i membri della famiglia Belfiore a far scattare l’inchiesta che vede titolari i pm Francesco Pelosi e Paolo Tosi.

Clicca per commentare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Pubblicità
Post AD
X