Il 2020 è alle spalle, ma non i record negativi che ha portato con sé quest’anno funesto: questa volta è la dinamica demografica durante la pandemia che salta all’occhio, registrando – secondo i dati Istat – un minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia e un massimo storico, invece, di decessi dal secondo dopoguerra.
Quantificando la diminuzione delle nascite nel 2020 è stato pari al -3,8%: quasi 16.000 in meno rispetto al 2019, mentre l’aumento dei decessi (+17,6%) è stato di quasi 112.000 unità in più rispetto al 2019. Tradotto in numeri: nell’anno appena passato sono stati iscritti in anagrafe per nascita 404.104 creature, ma ne sono state cancellate per decesso 746.146. Se il calo delle nascite riguarda tutte le regioni, quelle che più delle altre vedono peggiorare il saldo naturale (oltre il 4 per mille in meno rispetto al 2019) sono la Valle d’Aosta (-8,6 per mille) e la Lombardia (-6,7 per mille).
Le ragioni della denatalità vanno ricercate anche nei fattori che hanno contribuito al trend negativo dell’ultimo decennio (progressiva riduzione della popolazione in età feconda e clima di incertezza per il futuro). Il senso di sfiducia generato nel corso della prima ondata, soprattutto al Nord, può aver portato alla decisione di rinviare la scelta di avere un figlio. Al contrario, il clima più favorevole innescato nella fase di transizione può avere avuto effetti benefici transitori, poi annullati dall’arrivo della seconda ondata.
Intanto al 31 dicembre scorso la popolazione residente risultava inferiore di quasi 384.000 unità rispetto all’inizio dell’anno, come se fosse sparita una città grande quanto Firenze. E se, l’anno della pandemia, ha visto una forte riduzione dei movimenti migratori, è pure crollato il numero dei matrimoni celebrati, che si sono dimezzati: 96.687: -47,5% rispetto al 2019, con un calo considerevole per quelli religiosi. L’andamento delle nascite nel corso del 2021 consentirà di avere un quadro più nitido delle conseguenze della crisi economica
