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Cultura

Casale, lunedì 5 la presentazione di “Sessantotto in periferia”

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CASALE MONFERRATO – Lunedì 5 luglio 2021 (ore 21) a Casale Monferrato, nel Salone del Parco del Po (Viale Lungo Po Gramsci, 10) si terrà la presentazione del libro Sessantotto in periferia (Biennio 1968-1969 in provincia di Alessandria), Editrice Impressioni Grafiche. L’autore Pietro Moretti ne discuterà con alcuni testimoni del Sessantotto casalese Gianni Calvi, Claudio Debetto e Vittorio Giordano. Modera Luciana Ziruolo, direttrice ISRAL.

Obiettivo principale è stato quello fornire contributi a livello di cronache, testimonianze, riscontri di stampa, immagini  su quello che successe in quel periodo nell’Alessandrino. La scelta è stata volutamente quella di privilegiare la  storia locale, la cronaca, la ricostruzione dei fatti. Può sembrare riduttivo rispetto ai grandi dibattiti che ci sono stati sul Sessantotto come fenomeno generale, mondiale; sulle sue cause e sulle sue conseguenze. L’autore ritiene però che ci sia un grande vuoto di cronache da colmare. E’ un po’ il contrario di quanto avvenne per il movimento partigiano: nei decenni successivi al 1945 vennero pubblicate tantissime testimonianze e cronache sia generali che locali; poi vennero i dibattiti storiografici sulla Resistenza, l’esame di questioni più complesse. Questo relativamente scarso interesse alle cronache del Sessantotto è stato causato soprattutto dai pregiudizi dovuti ad una grave deformazione dei fatti: spesso l’identificazione tra Sessantotto e terrorismo, ingeneratasi dopo la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, ha prevalso ed ha messo in forte ombra i caratteri positivi di quelle lotte: la partecipazione, l’antiautoritarismo, l’egualitarismo, la spontaneità, gli inizi del femminismo, il terzomondismo, per citarne solo alcuni. Si sono raccolte le testimonianze di alcuni dei protagonisti e delle protagoniste di quel periodo. Particolarmente significativo è stato l’apporto del Casalese con le testimonianze di Gianni Calvi, Claudio Debetto, Vittorio Giordano e Luigi Gottardi.

Gianni Calvi, allora studente universitario, ha caratterizzato quegli anni con la sua scelta antimilitarista: Gli anni che hanno preceduto il 1968, sono sicuro di poter affermare che siano stati per me essenziali, poichè sono stati gli anni in cui ho maturato la mia obiezione di coscienza al servizio militare: questa idea divenne esistenziale, fondamentale, irrinunciabile perchènon avrei mai prestato servizio nell’esercito, azione che presupponeva il principio di poter uccidere, principio inconciliabile con l’essere cristiani. A questo si accompagnò il ruolo di don Gino Piccio, di cui è stato stretto collaboratore per tutta la vita: . Don Gino, profetico come sempre, aveva già elaborato idee straordinarie e dirompenti su come vivere un cristianesimo attivo, “missionario“, che si propone di portare la Parola a tutti.  Uomo prima che prete, di intelligenza straordinaria, ci sfidava a vivere iniziative dirompenti. Don Gino ha vissuto tre anni senza soldi in tasca, senza casa, senza auto. Come abbia fatto non lo so: girava in autostop, andava a dormire nelle canoniche dove lo ospitavano e gli offrivano da mangiare. Ci sono stati anche preti che non lo hanno accolto. Una volta al mese ci trovavamo con lui alla cascina G di Ottiglio Monferrato, dove avevamo per anni organizzato le Settimane.

Claudio Debetto, prima operaio e poi sindacalista, ricorda con dovizia di particolari quei momenti: Ero operaio (anzi apprendista) prima metalmeccanico, poi telefonico dipendente della STIPEL, poi diventata SIP e adesso TIM- TELECOM. In quel periodo facevo parte del direttivo regionale di categoria e del consiglio generale della Cisl provinciale: mi è stata proposta la formazione  al Centro Studi della Cisl nazionale per un “corso lungo”  di nove mesi. Era un corso destinato alla dirigenza, di livello universitario, con degli “sbarramenti” ogni tre mesi, esami veri e propri. Sto parlando del periodo novembre 1967 – luglio 1968; il Centro studi è a San Domenico di Fiesole, a metà strada tra Firenze e Fiesole. Andavamo a messa da padre Ernesto Balducci alla Badìa, ed a questa messa partecipavano personaggi importanti dell’ambiente socio-politico fiorentino, tra cui anche Giorgio La Pira, il quale ci intratteneva all’uscita con discorsi che per noi giovincelli sembravano cose da marziani. Diceva per esempio sulla guerra del Vietnam: “State tranquilli, ho parlato con HoChiMinh: si fa la pace, si fa la pace!”. 

Vittorio Giordano, allora studente dell’Istituto magistrale Lanza: Nel 1968 avevo diciassette anni. Frequentavo l’istituto magistrale Giovanni Lanza di Casale Monferrato. A scuola in quegli anni si parlava molto di quello che succedeva nel mondo. Non solo le idee, ma la musica, il cinema, il teatro, la poesia presentavano un altro modo di vedere la società e la vita. Lo spirito di ribellione, di cambiamento, di rivoluzione era  nell’aria, quasi si respirava. Nella scuola che frequentavo c’era “movimento” come nelle altre scuole. Si cominciava a “contestare”.  Si contestava la scuola come autorità, come sistema; si contestava anche l’organizzazione scolastica, gerarchica e autoritaria. Per noi l’anno scolastico 1968/1969 era quello dell’esame di maturità riformato, frutto verosimilmente anche delle lotte del movimento studentesco. In città si era sviluppato un discreto movimento degli studenti che coinvolgeva tutte le scuole superiori, dai licei agli istituti tecnici. Tra gli studenti si distinguevano quelli che riflettevano e lottavano prendendo spunto da tematiche più generali, teoriche e quelli che lottavano per obiettivi più concreti come l’organizzazione della scuola, gli esami, il futuro, gli sbocchi, l’università, il lavoro. 

Scrive nell’introduzione al libro Luciana Ziruolo, direttrice ISRAL: La lettura di queste storie di vita aiuta a comprendere come il Sessantotto sia stato un fenomeno capillare, che ha permeato tutti gli ambiti e i settori della società, non certo un’esperienza elitaria come, talvolta, è parso trasparire nei saggi di alcuni suoi leader nazionali, ma un vento elettrizzato ed elettrizzante che, ad una osservazione disincantata e non preconcetta, ancora permea – in nuove, molteplici forme – il tempo presente.

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