Scuola e Università

Continuano le polemiche per la questione “panino da casa” nelle scuole

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TORINO – Sta creando non poco caos nelle scuole la Sentenza della Cassazione sezioni unite del luglio scorso, che ha ribaltato quanto stabilito dal Consiglio di Stato, annullando la sentenza della Corte d’Appello di Torino sulla questione “pasto a casa” (ritenendo che “La gestione del servizio mensa rientra nell’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche di primo e secondo grado in attuazione dei principi di buon andamento della pubblica amministrazione”) sta creando non poco caos nelle scuole italiane.

Il servizio andato in onda nell’edizione odierna del nostro TG

Dall’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte erano state tempestivamente inviate ai dirigenti due note dove veniva chiarito il senso della sentenza e date indicazioni su come muoversi. Secondo i giudici della Corte Suprema di Cassazione, portare il pasto domestico potrebbe configurarsi come violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, a seconda delle condizioni economiche delle famiglie e del “diritto alla salute” per i rischi igienico-sanitari che il predetto pasto porta con sé. Il panino da casa, insomma, non è un diritto, secondo gli ermellini. Poi c’è il passaggio relativo al “tempo mensa” che è compreso nel “tempo scuola” e che ha scatenato una valanga di discussioni ed incomprensioni tra i genitori e le istituzioni scolastiche le quali, in virtù dell’autonomia scolastica, stanno cercando – ognuno recependo la sentenza come meglio ritiene – di mediare tra le esigenze delle famiglie e rigidi dettami che stanno mandando in tilt quello che dovrebbe essere – secondo le regole del buonsenso, al di là di ciò che dice la legge – un momento di socializzazione e di condivisione. E questa dovrebbe essere la ragione secondo cui il tempo della mensa fa parte del tempo della scuola, ma ci sono genitori che, oltre a chiedere di poter consegnare all’alunno il pasto da casa vorrebbero anche poter portare a casa proprio figlio per il pranzo e riportarlo poi per le lezioni del pomeriggio. Da qui il caos e la legittima richiesta di chiarezza da parte delle famiglie, che a questo punto si chiedono come mai, poiché il pranzo è considerato un momento educativo che va consumato a scuola, debba essere allora a pagamento. Commenti al vetriolo inondano i social e le linee telefoniche degli istituti scolastici.

“D’ora in avanti o paghi la minestra o salti la finestra (sempre che non ti portino via la casa per morosità)” aveva commentato a suo tempo il gruppo gruppo Facebook “CaroMensa Torino”, che aveva da subito sollevato il problema a colpi di carte bollate. Anche nel resto del Piemonte l’atmosfera non è delle più tranquille, con comitati di genitori che cercano di raccapezzarsi nel marasma di indicazioni recepite in modo autonomo dalle scuole di primo e secondo grado. Ad Alessandria ci sono istituti che hanno applicato alla lettera la sentenza della Corte di Cassazione: no al pasto da casa e no alla richiesta di autorizzazione all’uscita degli alunni iscritti a tempo pieno, in virtù del fatto che “il tempo mensa è tempo scuola”.

Altri hanno preso posizioni più morbide, pur sottolineando l’importanza dell’educazione alimentare legato allo stile di vita salutare degli alunni. Alle primarie Galilei così come al Villaggio Europa (che sono sotto un’unica dirigenza) chi porta il pasto da casa deve dotarsi di apposito contenitore. E’ poi accettata solo acqua. E ancora: oltre ad una serie di “distinguo” su cosa è consentito mangiare o meno e quante volte alla settimana, l’ultima novità – in ordine di tempo – verrà servita entro il prossimo novembre: la dirigente Maria Paola Minetti annuncia infatti l’istituzione di un comitato di controllo del pasto domestico. Con la speranza che sia gradito (e non indigesto) ad alunni e genitori.

LE NOTE DELL’UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE

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