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Sanità

Piemonte e Covid: lo scandalo dei respiratori che restano nei magazzini

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C’è un Piemonte dove la procura di Torino ha chiesto l’archiviazione dei primi quattro fascicoli di indagine aperti per epidemia e omicidio in forma colposa per i morti nelle Rsa durante la prima ondata di pandemia – tra il febbraio e il marzo 2020 – poiché non c’erano conoscenze scientifiche sufficienti e, di conseguenza, l’organizzazione complessiva, a livello generale, era lacunosa sotto vari aspetti.

E c’è un Piemonte dove si sta cercando di fare chiarezza sul caso dei respiratori per i pazienti Covid critici ricoverati nei reparti di terapia intensiva che, da oltre un anno, sono rimasti in deposito: in totale sono 400 gli apparecchi che erano stati inviati in piena emergenza pandemica quando la struttura commissariale centrale era guidata da Domenico Arcuri e per i quali il Dirmei in una nota del dicembre 2020 aveva segnalato a palazzo Lascaris “gravi difetti di funzionamento”.

Strumenti, di conseguenza, che sono rimasti nel limbo e che neanche la struttura commissariale guidata ora dal generale Francesco Figliuolo sa bene come gestire, poiché neanche dopo le riparazioni della scorsa primavera da parte del produttore, i risultati non sono stati soddisfacenti. Anzi.

Il verdetto dei responsabili delle terapie è stato di non idoneità degli apparecchi, con il risultato che palazzo Lascaris ha tirato fuori di tasca propria le risorse per comprarsene ed ha poi chiesto a Roma di non scalare il valore dei respiratori dalle risorse destinate alla regione sabauda per l’attrezzaggio delle terapie intensive. Intanto – pur con un confortante rallentamento del virus, grazie all’uso dei vaccini – la guardia non va abbassata e, oltre al prosieguo della campagna vaccinale anti Covid, è confermata per la metà del mese la partenza di quella antinfluenzale, iniziando dagli over 85: entrambe le dosi potranno essere somministrate contestualmente.

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