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Economia

Ex Ilva: lunedì nuovo tavolo tecnico al Mise

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ROMA – Un nuovo tavolo tecnico ex Ilva, lunedì prossimo, al Ministero per lo Sviluppo Economico: è questa la data fissata dopo l’incontro terminato con “pallide aperture da parte dell’azienda”, rappresentata dall’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli e i rappresentanti di Fim, Fiom e Uilm di Taranto.

L’apertura si è manifestata a parole, con la disponibilità ArcelorMittal a rivedere le sue posizioni su manutenzioni e sicurezza, pagamento delle aziende dell’indotto, rotazione della cassa integrazione. Erano stati questi, ad inizio settimana, i punti caldi che avevano fatto scendere gli operai in strada a suo tempo, bloccando il traffico e la circolazione in ingresso ed uscita delle merci, coinvolgendo poi nell’agitazione anche i lavoratori dell’indotto.

Certo, i nervi sono molto tesi in casa madre, per quanto riguarda il contratto di affitto e tutto quanto possa “ridurre la capacità produttiva dell’azienda”. Un altro vento soffia sullo stabilimento di Novi Ligure, nell’Alessandrino (l’altro è a Genova Cornigliano), dove i sindacati hanno raggiunto un accordo con la dirigenza per i 658 lavoratori, che si sono visti rinnovare la cassa integrazione Covid fino al 17 ottobre: 5 settimane, anziché le 9 richieste: se ArcelorMittal verrà incontro – con una serie di misure legate alle esigenze igienico-sanitarie (da risolvere la presenza abnorme di piccioni) e di sicurezza (illuminazione esterna latente), allora ci si potrà aprire ad altre 4 settimane di cassa.

“La mediazione sul territorio ha dato buoni sviluppi – ha affermato Alberto Pastorello, segretario generale Uilm Alessandriae, grazie all’ultimo accordo, sono 430 gli addetti medi che sono tornati a essere occupati rispetto ai precedenti 300. Certo è che se prima lo stabilimento di Novi aveva in forze 700 dipendenti, ora si è scesi a 658. Siamo sotto organico”. E, nonostante la situazione attuale nella fabbrica alessandrina sia decisamente migliore rispetto a quanto stanno vivendo i lavoratori di Taranto, resta palpabile la preoccupazione: se si fermasse o, nella peggiore delle ipotesi, se chiudesse la casa madre, chiuderebbero tutti.

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