Entra in contatto con noi
Pubblicità
Post AD
Pubblicità
Post AD

Economia

Chiusura ArcelorMittal (ex Ilva): nessuna retromarcia della proprietà

Pubblicato

il

La multinazionale dell’acciaio franco-indiana che si è aggiudicata l’Ilva dall’amministrazione straordinaria e, a distanza di un anno dalla sigla di quel contratto, ha annunciato il clamoroso passo indietro dal gruppo siderurgico, non fa retromarcia sullo spegnimento e abbandona non solo una fabbrica simbolo a livello internazionale, ma tutti i suoi 10.700 dipendenti, occupati nelle sedi di Taranto, Genova Cornigliano e Novi Ligure.

Il servizio andato in onda nel nostro TG

Un disastro annunciato, figlio di un assist senza dubbio mal gestito dal governo che lascia margine solo allo scontro legale: oggi, infatti, mentre si terrà il faccia a faccia tra i sindacati e ArcelorMittal il presidente del consiglio Giuseppe Conte darà mandato ai commissari straordinari di presentare oggi al Tribunale di Milano un ricorso cautelare urgente per bloccare l’istanza di recesso di Mittal e lo spegnimento degli impianti. Uno scenario, quello attuale, in caduta libera con un disimpegno totale da parte di ArcelorMittal che, per bocca del suo amministratore delegato in Italia Lucia Morselli, ha comunicato ai sindacati tarantini il piano delle fermate degli impianti. Per primo, il 12 dicembre verrà fermato l’Altoforno 2, da mesi al centro di un contenzioso tra Tribunale di Taranto e i commissari straordinari cui l’impianto è affidato. Il 30 dicembre toccherà all’Altoforno 4, mentre il numero uno verrà spento entro metà gennaio. Tempi scanditi, che vedono in scaletta, già a ridosso della fine del mese, il treno nastri 2 “per mancanza di ordini”. Infine, una volta fermi tutti e tre gli altiforni, Arcelor prevede la fermata di agglomerato, cokerie e centrale termoelettrica. E se spegnere gli impianti – dicono gli esperti – significa distruggerli, perché per riaccenderli ci vogliono mesi e centinaia di migliaia di euro con compromissione anche del futuro ambientale, c’è anche chi – come i referenti di Rete Ambientalista – spiega come nazionalizzare l’ex Ilva significherebbe ridurne le dimensioni, bonificarla e convertire l’area in altre produzioni e servizi. E, su questa opzione, c’è chi non è d’accordo e chi invece sì, ma non ha il coraggio di dirlo. E mentre in queste ore sono attesi i numeri definitivi sugli esuberi, il pensiero va a tutti i lavoratori e all’immenso indotto collegato ad una situazione che sta precipitando nel baratro: l’Italia senza produzione di laminati piani (i rotoloni) dovrà inevitabilmente prestare il fianco a russi, indiani, serbi e turchi, pronti a colmare la voragine che potrebbe lasciare Taranto.

Clicca per commentare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Pubblicità
Post AD
X