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Cronaca

Strage Quargnento: tribunale riesame deciderà se incarcerare Patrucco

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TORINO – Fra una settimana Antonella Patrucco saprà se attendere il processo per la strage di Quargnento a piede libero, oppure raggiungere in carcere il marito Gianni Vincenti, accusato, come lei, di omicidio doloso plurimo, lesioni volontarie, crollo doloso di abitazione, truffa all’assicurazione e calunnia nei confronti del vicino di casa su cui la coppia aveva dirottato i sospetti nelle ore successive all’esplosione.

Il servizio andato in onda nel nostro TG

Il 25 febbraio il tribunale del riesame di Torino esaminerà il caso dopo che il procuratore della Repubblica Enrico Cieri aveva chiesto il suo arresto.

Il gip però, pur riconoscendo per lei gli stessi indizi gravi che pesano a carico del marito, non ha autorizzato la misura restrittiva, perché ha ritenuto che al momento, non ci siano le esigenze cautelari che rendono urgente l’arresto.

Il procuratore e il sostituto Elisa Fruis, titolare dell’inchiesta, hanno impugnato la decisione e spetta quindi al tribunale del riesame di pronunciarsi.

Il processo alla coppia inizierà a davanti alla Corte d’assise di Alessandria il 4 maggio. La tragedia è drammaticamente nota nei suoi aspetti. Nella tenuta di Quargnento di proprietà della Patrucco, scoppiò un modesto incendio. Accorsero vigili del fuoco e carabinieri e poi venne avvertito lo stesso Vincenti il quale, avendo piazzato sette bombole pronte a scoppiare all’ora in cui aveva puntato il timer, avrebbe potuto avvertire che l’esplosione era imminente. Così avrebbe salvato tre vite umane, quelle dei tre pompieri deceduti. Non lo fece e per la Procura questo è il comportamento doloso alla base della contestazione dell’omicidio volontario. La moglie prese subito le distanze da lui, ma per la Procura era consapevole delle azioni del marito, messe in atto per riscuotere i quattrini dell’assicurazione.

Intanto, i difensori degli imputati per la strage di Quargnento, non possono chiedere il giudizio abbreviato, che prevede la riduzione della pena di un terzo, perché la legge non lo consente per i reati che prevedono l’ergastolo. A questo punto quindi, i legali hanno deciso di sollevare la questione della incostituzionalità del provvedimento, che qualora venisse accolto dalla Corte, consentirebbe il rito alternativo, facendo scendere la condanna dalla pena a vita, a 30 anni di reclusione

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