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Cronaca

Un anno fa l’Italia entrava in lockdown e scopriva il rumore del silenzio

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Un silenzio assordante – interrotto solo dal suono delle sirene delle ambulanze e dei mezzi delle Forze dell’Ordine -, le strade deserte, la gente chiusa nelle proprie case, piena di paura: un anno fa l’Italia scopriva, per la prima volta, quel termine inglese – lockdown –, piombando in uno dei momenti più tragici dal dopoguerra.

E scopriva come la realtà terrifica di un virus che stava invadendo il mondo e uccidendo migliaia di persone (senza che nulla potesse essere fatto per salvarle) fosse drammaticamente molto simile ai film apocalittici che si erano visti al cinema fino a qualche tempo prima.

Tutto reale, tutto documentato dalle telecamere e dai giornalisti, impauriti esattamente come tutte le altre persone che avevano “perso la bussola”, pur venendo costantemente rincuorate dall’allora premier Giuseppe Conte attraverso il decreto #iorestoacasa.

Un anno fa il coronavirus stravolgeva la vita di ogni italiano, costringendolo a lunghe file ai supermercati e ad una resistenza fisica e psicologica sfociata, in più occasioni, in applausi e canti dai propri balconi ed in striscioni con arcobaleni che rilanciavano un ottimistico “andrà tutto bene”.

Eppure le persone continuavano a morire, le terapie intensive erano sature, i medici ed il personale sanitario crollavano dopo estenuanti ed infiniti turni spesi nel tentativo di strappare vite – soprattutto quelle di moltissimi anziani – a quella forma di polmonite che nella maggior parte di casi non lasciava scampo.

Erano i giorni in cui ci si abituava all’idea che sarebbero stati dei Dpcm e delle autocertificazioni a scandire, con regole ferree, la nostra esistenza, ma erano anche giorni in cui – per uscire, solo per urgenza sanitaria o approvvigionarsi di viveri – bisognava avere con sé i cosiddetti presidi sanitari, ma mascherine, guanti e disinfettanti non c’erano e, quando venivano reimmessi sul mercato, erano venduti a prezzi scandalosi come poi si è rivelato scandaloso tutto il business legato alla produzione di mascherine protettive e affini.

Certo è che, ad un anno di distanza, con un totale di 100.000 decessi per Covid 19 (con una media di 274 morti al giorno) e tante incertezze su un anno che non è più il famigerato 2020, ma in termini di criticità e di “vite sospese” forse preoccupa ancora di più, trovare il bandolo della matassa è impresa ardua.

Ogni persona ha elaborato il suo personale senso di solitudine, con quell’immagine di Papa Francesco che passerà alla storia: solo, nell’immensa piazza San Pietro vuota e lucida di pioggia, mentre lo scorso 27 marzo si rivolge a Dio e gli chiede di non lasciarci in balia della tempesta.

Così come resterà impressa nella testa e nel cuore un’altra immagine simbolo di quel periodo: il triste corteo di camion dell’esercito conil caricodi bare lungo le strade di una buia e ferita Bergamo. Erano passati appena 10 giorni dall’annuncio del primo lockdown. Come in tutte le guerre – e questa non è ancora finita – al popolo viene chiesto di resistere: agli italiani il governo Conte ha chiesto “responsabilità”.

E gli italiani hanno avuto pazienza e si sono adattati, in quest’anno con il Covid, a recuperare il proprio tempo, lottando, al tempo stesso, con quel senso di insicurezza e precarietà psicologica e lavorativa che ora sta presentendo il vero conto. Gli italiani sì, sono responsabili ma tanto stanchi.

I numeri dei contagi che sono tornati a salire in questi giorni e lo Stivale che sta tornando a tingersi di rosso e di arancione spiazzano i più, ma – a differenza di un anno fa – c’è un alleato ed è arrivato nel pieno della battaglia: è il vaccino, è la speranza concreta che permetterà al mondo di risvegliarsi da quest’incubo.

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