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Cronaca

Torino, omicidio Stefano Leo: trent’anni a Mechaquat

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TORINO – Lo aveva ucciso perché aveva “un’aria felice e serena” e lui, il 29enne Said Mechaquat proprio non lo sopportava.

La sentenza per l’omicidio di Stefano Leo, vittima a 33 anni del gesto inconsulto di un altro giovane – nato in Marocco ma cittadino italiano – è arrivata questa mattina, dopo una breve riunione in camera di consiglio a Torino: 30 anni per Mechaquat, che la mattina del 23 febbraio del 2019 sgozzò Stefano Leo mentre camminava ai Murazzi, sul Lungo Po.

L’assassino fece una confessione choc: non conosceva Stefano, che era originario di Biella e lavorava come commesso, ma quel giorno prese di mira proprio lui: poche ore prima aveva acquistato un coltello di ceramica rosa, poi la decisione: ucciderlo all’improvviso, ai piedi della scalinata di corso San Maurizio, mentre l’ignaro Stefano Leo stava andando al lavoro. “Volevo punire la città – confessò un mese dopo il delitto, Said Mechaquat, che scelse di costituirsi -. Ho scelto una vittima giovane e italiana, perché così l’omicidio avrebbe fatto scalpore”.

Said disse anche che voleva sfogare una situazione di disagio interiore: non manifestò mai alcun pentimento. All’inizio vennero battute varie piste, da quella del balordo alla ricerca di qualche spicciolo a quella di una vendetta maturata negli anni in cui il giovane aveva soggiornato in Australia o in Giappone. Poi la terrificante dichiarazione di Mechaquat.

Oggi, mercoledì 1° luglio, dopo il rito abbreviato e la requisitoria dei pm Ciro Santoriello e Enzo Bucarelli, la sentenza pronunciata dal gup Irene Gallesio. “La giustizia ha fatto il suo corso, ma non c’è niente che si possa fare per riportare Stefano a casa”, ha commentato la madre Mariagrazia Chiri. Accanto a lei c’erano il compagno Alberto e gli avvocati Nicolò Ferraris e Gabriele Filippo. L’avvocato di Said, Basilio Foti, aveva chiesto che al suo cliente venisse riconosciuta la semiinfermità mentale: ricorrerà in appello.

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